sabato 28 luglio 2012

Storie di confine...tra Turchia e Armenia



Per tutto il mese di giugno, al Galata Fotoğrafhanesi di Istanbul si è tenuta la mostra Beyond Waiting…Stories from Turkey-Armenia Border", curata dalla Fondazione Hrant Dink, che porta il nome del giornalista armeno assassinato a Istanbul nel 2007, di fronte alla sede del suo giornale Agos. La fondazione si occupa delle minoranze non musulmane in Turchia e la mostra si inserisce all'interno del più ampio progetto “Multimedia for Dialogue”, che mira a sfruttare la potenza comunicativa dei new media per una capillare diffusione del messaggio di cui sono portatori. 

Il tema di fondo della mostra è il secolare conflitto tra la Turchia e la minoranza armena. Il confine trai i due Stati conserva in sé una ferita storica che stenta a rimarginarsi; il massacro degli armeni deportati tra il 1915 e il 1916 dal governo dei Giovani Turchi rappresenta ancora oggi un trauma non superato, un cosiddetto rimosso storico, tale per via del disconoscimento del genocidio da parte della Turchia.
La mostra ha voluto dare voce alle storie vissute nel confine tra i due territori, un confine sigillato nel 1993, che continua a dividere persone, binari, villaggi. Rimane viva solo la memoria storica dei suoi abitanti, le speranze, i ricordi e i dialoghi interrotti. 

Cinque storie condensate in altrettanti documentari della durata di circa mezz'ora ciascuno, realizzati da cinque giovani artisti di entrambe le nazionalità, nel segno della conciliazione e dell'accoglienza reciproca. Le digital stories sono ambientate nelle città di Kars e Gyumri: i primi protagonisti sono i lavoratori di una stazione nella quale il treno non passerà mai per via del collegamento interrotto; Kima è una donna che ha atteso per anni che un ospite dalla Turchia venisse a bussare alla sua porta; i figli di Bayandur che infrangono il silenzio del confine con la loro musica ; Sofia attraversa la sua città con gli abitanti di un quartiere in attesa di demolizione, mentre cerca di ritrovare le tracce di suo nonno; un curdo e un armeno, infine, lanciano un appello, cercano di capire e spiegare come affrontare i loro traumi passati, richiamano tutti ad ascoltare, parlare e agire "al di là dell'attesa".
Le testimonianze sono state raccolte e trasposte col linguaggio del moderno Digital storytelling, storie raccontate direttamente da chi le ha vissute. Una parete bianca e cinque monitor costituiscono il grosso dell'allestimento, mentre poco materiale cartaceo e qualche immagine fanno da contorno al percorso espositivo, da non intendersi nel senso del tradizionale linguaggio museologico, ma come uno spazio capace di generare memoria, raggiungibile da più direzioni e quindi fruibilie da più prospettive, che risultano così soggettive, più che ragionate ed oggettive. 

Pensata in un'ottica circolare della Storia, Beyond Waiting…Stories from Turkey-Armenia Border" è una mostra all'avanguardia che rispetta i dettami dell'era post elettrica, la nostra, in cui i media consentono un ritorno all'oralità e stimolano una partecipazione sensoriale più attiva, dove il mezzo diventa il messaggio stesso, secondo il celebre aforisma di Marshall McLuhan.


La funzione della narrazione e il supporto di strumenti multimediali giocano un ruolo fondamentale nel rispondere all'intento degli organizzatori, quello di creare un'interazione efficace tra i protagonisti delle testimonianze e il pubblico che guarda e ascolta, ma non solo...partecipa! Poiché lo storytelling è mezzo capace di coinvolgere lo spettatore, che diventa così esso stesso protagonista per via della capacità della narrazione orale di rievocare un vissuto, un ricordo, di procurare inevitabilmente un feedback emotivo immediato e ineluttabile.
I media, quindi, che spesso hanno frammentato, o di ciò sono stati accusati, si riappropriano del merito di riuscire ad unire le persone e a creare comunità con valori condivisi.

martedì 24 luglio 2012

Dai canti di protesta giacobini a quelli della Resistenza e di oggi: un sito per la storia cantata

Le canzoni ed i canti popolari e di lotta raccontano delle storie, sono direttamente legati ad eventi individuali e collettivi, racchiudono esperienze del passato che è importante non vadano perdute. Quali canti, per esempio, hanno segnato la guerra di Spagna? O quali hanno raccontato la Resistenza, o il dopoguerra e la ricostruzione?
Non sempre si pensa che le canzoni abbiano molto a che fare con la storia, con la memoria di una società. Ci sono, però, importanti istituti che alla raccolta dei canti, in particolare popolari, hanno dedicato e dedicano la loro attività (in primo luogo, l’Istituto Ernesto de Martino, che raccoglie materiale di carattere musicale e non solo).

Il Deposito è un interessante sito dedicato al patrimonio dei canti di protesta,  da quelli antifeudali a quelli spagnoli, a quelli della Resistenza, fino ai giorni nostri: un archivio vastissimo, dove si possono reperire testi, accordi, file audio, ma anche notizie e contestualizzazioni storiche. Un work in progress, tra l’altro, realizzato da un esperto appassionato, Sergio Durzu, che esplicitamente chiede, a chi volesse, di partecipare alla sua costruzione ed al suo lavoro di ricerca.
Ivan Della Mea
Il portale, che ha come obiettivo principale la raccolta e la divulgazione di questo patrimonio e del suo legame con la storia, si presenta curato e facilmente navigabile e consente di orientarsi in mezzo a tutto il materiale disponibile (1492 testi, 346 autori, da Fausto Amodei a Ivan della Mea, da Paolo Pietrangeli a Gualtiero Bertelli ai Cantacronache, per citare solo quelli presenti con più brani).
L’Archivio è,  dichiaratamente, il centro del sito. I canti vi sono catalogati attraverso diversi criteri, a partire da quello cronologico: si va da Rivoluzioni, Restaurazione, Risorgimento (1789-1870)  fino a La canzone politica dagli anni '80 (1980-). Vi sono poi quattordici aree tematiche, che permettono una ricerca più mirata per contenuto: per esempio, canti anarchici o antimilitaristi o femminili o legati all’emigrazione. Ci sono, inoltre, le catalogazioni per autori e per lingua (non solo l’italiano e i suoi dialetti, ma anche russo, tedesco, inglese, serbo, ...) e localizzazione.


lunedì 23 luglio 2012

Cosa è rimasto di questi anni ‘30/’50/’80

Non occorrono certo ne grande acume ne specifiche nozioni di design per notare quanto l’arredamento di una casa e i più svariati oggetti di uso comune siano rappresentativi di una determinata epoca. E chi incappa in una fotografia scattata anche solo poco meno di dieci anni prima nella propria abitazione, molto probabilmente non potrà fare a meno di rimanere colpito dai cambiamenti avvenuti fra le mura domestiche in un periodo di tempo così breve. Oppure, all’opposto, chi si reca in visita di qualche anziano parente potrebbe ritrovarsi circondato da suppellettili che risalgono a decenni precedenti e che non stonerebbero nella bottega di un rigattiere, sperimentando una curiosa sensazione di anacronismo. Probabilmente, la maggior parte di noi  si ritrova ad aggiornare con maggiore frequenza i supporti tecnologici (ormai parte integrante e pressoché indispensabile della nostra vita) tendendo d’altro canto a conservare il più a lungo possibile il vecchio armadio, il vecchio divano, la vecchia scrivania e via dicendo. E per tanto, gli interni rigorosamente intonati con l’estetica prevalente del decennio di riferimento proposti dal Museo Virtuale della Vita Quotidiana costituiscono verosimilmente un modello ideale che non si da nella realtà, se non fra le pagine di qualche catalogo. Ciò nondimeno, per le informazioni che si possono acquisire e la piacevolezza della navigazione  vale la pena visitarlo. 
   Si deve all’iniziativa di Donatella Vasetti e Maria Chiara Liguori la progettazione di questo sito nell’ormai lontano 1999. Nell’intento di promuovere anche in Italia un museo che avesse per oggetto la vita di tutti i giorni nel corso del tempo, tendenza assai diffusa in area anglosassone, e dovendo fronteggiare limiti di budget e scarsità di spazi a disposizione le due curatrici ebbero l’idea di realizzare il loro progetto direttamente sul web. Così, potendo disporre di un contributo finanziario ottenuto nell’ambito di “Bologna 2000 – città della cultura” avviarono una collaborazione con il VisitLAB del CINECA  che già a partire dal 2001 vide fruibile in rete dagli utenti la sezione dedicata agli anni Cinquanta. E nel 2008, grazie a risorse messe a disposizione della Fondazione Carisbo, il sito si è arricchito di due ulteriori sezioni (dedicate rispettivamente agli anni Trenta e Ottanta) curate sempre dalla Liguori in collaborazione con Elena Musiani  e avvalendosi della supervisione del Comitato di Bologna dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano e di Antonella Guidazzoli del CINECA.

  
  Ogni sezione si apre con una scheda introduttiva, corredata da immagini, che espone un quadro sintetico dei principali avvenimenti e tratti distintivi del decennio preso in esame. Quando poi si passa alla visita dell’abitazione che si è scelto è possibile effettuare la navigazione in 3D (se il proprio computer è in grado di supportarla questa è la scelta consigliata) oppure in HTML. Nel primo caso esploreremo stanza per stanza senza soluzione di continuità, nel secondo avremmo a disposizione di una piantina che ci consentirà di selezionare l’ambiente desiderato. Ogni area è corredata da una specifica scheda che ne mette in luce le caratteristiche peculiari e all’interno della ricostruzione virtuale alcuni oggetti sono cliccabili  per ottenere informazioni particolareggiate sulla loro funzione e sull’eventuale ruolo di status symbol che hanno rivestito nell’immaginario della loro epoca. Per tutte e tre le epoche è stato fatto riferimento ad abitazioni realmente esistenti a Bologna di cui si è ipotizzato un nucleo famigliare tipico per conferire omogeneità all’organizzazione dell’insieme. 
   Certo, una volta che si è terminata la visita in tutte e tre le abitazioni si rimane con la voglia di esplorare altri decenni oppure differenti ambienti di una stessa epoca per coglierne meglio le differenze dovute al ceto sociale, alle disponibilità economiche, al gusto personale e ai più svariati orientamenti. E ciò è nelle intenzioni dello staff che si occupa della gestione del sito, che come si può vedere in questa pagina è interamente costituito da donne la cui formazione unisce competenze umanistiche e informatiche. Come al solito il problema è prettamente economico, e anche in tempi di crisi come quelli attuali non bisogna escludere a priori che possa giungere un finanziamento che consenta di arricchire l’esposizione del museo.